Lev Chadash è membro della

Lev Chadash

PERCHE’ LEV CHADASH?
PERCHE’ UNA SINAGOGA LIBERALE IN ITALIA?

Perché l’ebraismo è movimento, una civilizzazione e una tradizione che abbiamo ricevuto per farla vivere nel presente e trasmetterla al futuro.

Perché perché pensiamo che l’ebraismo e l’halakha siano sistemi evolutivi. Lo sapevano già i nostri padri, che concepivano Dio come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: visite du Vatican ogni generazione con un suo continuo ma differente rapporto col Divino. E Moshé stesso, trasportato -come racconta il Midrash- nella generazione di Rabbi Akiva, trovò nell’ebraismo di quella generazione un modo nuovo, quasi irriconoscibile, di imparare ed insegnare la sua Torah. E ne fu sconcertato, prima di comprenderlo e capirlo nella sua continuità.

Perché il Talmud è commento, interpretazione, applicazione, continuazione della Torà con elementi di innovazione. E’ un metodo e un processo che dobbiamo continuare, non un codice da cristallizzare.

Perché il pluralismo ebraico esiste oggi come è esistito nel passato e occorre riconoscerlo come un fatto positivo, una ricchezza, una caratteristica profondamente ebraica.

Perché crediamo che non si debba giudicare nessuno secondo il suo grado di osservanza, e crediamo alla trasmissione dell’amore per le mitzvot come parte dell’ amore per Israele e come ricerca del divino. Un quadro di riferimento all’interno del quale ognuno ha il compito di trovare una sua via personale, in libertà di coscienza.

Il presidente

CURRICULUM SCIENTIFICO E PRINCIPALI PUBBLICAZIONI

Ugo Volli, nato a Trieste nel 1948, laureato in Filosofia a Milano nel 1972, è professore ordinario di Semiotica del testo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, dove insegna pure Filosofia della comunicazione… All’Università di Torino è pure presidente del Corso di laurea specialistico in comunicazione di massa e multimediale, direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Comunicazione, membro della commissione rettorale per la comunicazione d’ateneo e del Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in scienze e tecnologie della comunicazione. E’ anche membro del collegio dei docenti del dottorato ISU di Semiotica presso l’Università di Bologna e della commissione comunicazione della Conferenza dei Rettori delle università italiane. Fino all’anno accademico 1999-2000 ha insegnato Filosofia del linguaggio all’Università di Bologna. Insegna anche per contratto il corso di Semiotica avanzata presso l’Università San Raffele di Milano.

Ha tenuto corsi e conferenze in numerose istituzioni e università italiane e straniere fra cui l’ISTA (International School of Theatre Anthropology) di Holstebro (DK), di cui è membro del comitato scientifico, la New York University e la Brown University di Providence - R.I. (USA), dove è stato visiting professor (rispettivamente nel semestre autunnale 1989 e nel semestre autunnale 1995). Inoltre ha svolto varia attività didattica alla Columbia University, Haute Ecole en Sciences Sociales (Paris), Brooklin College, Universidad Nacional di Lima, Universidad Nacional di Bogotà, Università di Genéve, Bonn, Madrid, Montpellier, Augsburg, Vienna, Zagabria, Helsinki, Sofia, Kassel oltre a numerosi atenei italiani. E’ stato per alcuni anni alcuni anni professore a contratto di Semiotica e di Testi e linguaggi mediali, presso il Corso di laurea in Comunicazione dell’Università IULM di Milano. Negli anni accademici 2005-2006 e 2006-2007 è stato docente a contratto di Semiotica presso l’Università Vita-Salute di Milano. É stato consulente di varie istituzioni pubbliche e private fra cui i Comuni di Milano, Torino e Bologna, la Regione Lombardia, l’Ert-Ater; ha diretto ricerche per il Cnr e vari altri enti. Ha lavorato a lungo nell’editoria libraria, fino a diventare capo redattore della varia per Bompiani e direttore di collana per Electa.

Le sue ricerche sono dedicate principalmente all’esplorazione di zone liminali, in qualche modo anomale, ma particolarmente rivelatrici dell’esperienza linguistica e comunicativa: teatro, Kitsch, semiotica della divinazione, comunicazioni di massa, intelligenza artificiale, moda e corpo, fascino e desiderio, silenzio, coscienza e interiorità come effetti di linguaggio, iconismo e teoria semiotica degli oggetti, pragmatica, comunicazione politica, epistemologia della semiotica, semiotica e ermeneutica, semiotica dei fenomeni religiosi, rapporti fra semiotica e sociologia in particolare per quanto riguarda la comunicazione politica, internet e la comunicazione pubblicitaria, comunicazione turistica e del territorio. Su questi argomenti ha pubblicato molti libri e oltre duecentocinquanta articoli scientifici. E’ membro del comitato scientifico di Vs - quaderni di studi semiotici; collabora con numerose riviste scientifiche.

Fra i suoi libri: Arte e scienza (Mazzotta 1972) Come leggere il telegiornale (con Omar Calabrese, Laterza 1976); La retorica delle stelle (L’Espresso 1980); Il linguaggio dell’astrologia (Bompiani 1988): Contro la moda (Feltrinelli 1988); La quercia del duca (Feltrinelli 1989), Apologia del silenzio imperfetto (Feltrinelli 1991), Jeans (Lupetti 1992), Per il politeismo (Feltrinelli 1992), I filosofi e il linguaggio (Esculapio 1993), Soprannomi d’Italia (Panini 1993), Il libro della comunicazione (Il Saggiatore 1994), Il telegiornale - istruzioni per l’uso (con Omar Calabrese, Laterza 1995), Hair language (Procter & Gamble 1997), Fascino (Feltrinelli, Milano 1997), Block modes, Lupetti 1998, Manuale di semiotica (Laterza, 2000), Figure del desiderio (Raffaello Cortina 2002), Semiotica della pubblicità (Laterza 2003), Tv di culto (Sperling 2003), Laboratorio di semiotica (Laterza 2005). Con Marino Livolsi ha curato diversi volumi collettivi sulla comunicazione politica nelle elezioni (La comunicazione politica fra Prima e seconda Repubblica Franco Angeli 1995, Il televoto, Franco Angeli, 1997, Personalizzazione e distacco, Franco Angeli 2001) e uno sul pettegolezzo come forma di comunicazione (Rumors, Franco Angeli 2005). Si è occupato di comunicazione turistica e territoriale con un libro e un convegno curato assieme a Rossana Bonadei (Lo sguardo del turista e il racconto dei luoghi, Franco Angeli 2003, e partecipando a studi di dettaglio sul Monferrato, sulla Torino postolimpica e su Siracusa. Svolge una ricca attività pubblicistica su vari giornali e settimanali, in particolare su La Repubblica di cui è - dalla fondazione - uno dei critici teatrali. Ha scritto anche su L’Espresso, Panorama, Europeo, Epoca, Lo Specchio, Il Mondo, Grazia, Avvenire, Il messaggero. Collabora, su argomenti legati alla comunicazione, con Il Mattino di Napoli. Ha una ricca esperienza radiofonica e televisiva, tanto con reti Rai e Finivest quanto con canali locali.

Ha realizzato numerose esperienze di consulenza, formazione e collaborazione su problemi di comunicazione aziendale con importanti società di diversi settori (fra le altre: ADN Kronos, ATM Milano, Bally, Costa Crociere, Comitato Olimpico Torino 2006, De Beers, Fininvest, Fiat, Ferrero, Finmeccanica, GFT, Gillette, Glaxo, GPF & Associati, Granarolo, IWS, Kellog, Lavazza, Mediaset, Michelin, Procter & Gamble, Samsung, Siemens, Telecom Italia, Unilever, Wella, Xerox). Per il museo d’arte contemporanea del Castello di Rivoli (Torino) ha curato tre grandi mostre (Nel paese della pubblicità, 2003; Schermo delle mie brame 2004; La fabbrica comunica 2006). Vi dirige ora il dipartimento dedicato al Museo della pubblicità. Per il Palazzo reale di Milano ha curato nel 2006 la mostra Superstar, 99 miti del Novecento.

ATTIVITA’ EBRAICA

Ugo Volli appartiene dalla nascita alla Comunità Ebraica di Trieste cui è iscritta tutta la sua famiglia. A Trieste ha frequentato la scuola ebraica e fatto il suo Bar Mitzvà. Si è occupato in maniera esplicita di ebraismo in maniera crescente negli ultimi anni. Da quindici anni è allievo dello Sciur di Haim Baharier a Milano. Ha partecipato in qualità di relatore al convegno sul Teatro ebraico tenutosi a Venezia sotto la direzione di Rav Della Rocca. Sullo stesso tema ha scritto un saggio per la mostra sull’ebraismo italiano curata da Daniela Di Castro, che si inaugurerà quest’anno in Israele. Ha partecipato ai due festival Oy-Oy-Oy di Casale coordinando il primo anno un confronto fra Rav Laras e il Vescovo di Casale, nel secondo conducendo due tavole rotonde. Ha tenuto un corso di dottorato nel 2007 presso l’Alta scuola di studi umanistici diretta da Umberto Eco sui metodi dell’ermeneutica talmudica, da cui ha tratto un saggio in corso di pubblicazione su Versus – Quadreni di studi semiotici diretti da Umberto Eco. Sullo stesso tema è prevista una sua relazione di apertra per il prossimo congresso dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici. Partecipa quest’anno come visiting professor alla summer school della Haifa University e dell’università di Torino sulla filosofia del diritto. Ha coordinato con Andreé Ruth l’iniziativa “Noi siamo Israele” svoltasi a marzo 2007 al Teatro Dal Verme. E’ presidente dell’associazione Lev Chadash. Fra il 2000 e il 2006 a partecipato a diverse iniziative sui problemi dell’antisemtismo, organizzate a Milano da Bené Berit, Comunità Ebraica, Provincia di Milano. Ha svolto un’attività di informazione su vari temi ebraici sugli organi di comunicazione ai quali collabora.

Il direttivo

Il presidente:

I consiglieri:

Il presidente emerito:

Il Rabbino

rav Haim Cipriani

Haim Fabrizio Cipriani ha approfondito lo studio dell’Ebraismo
dapprima a Parigi in una Yeshiva del movimento Habad Lubavitch, poi in
area Conservative con il rabbino Yeshaya Dalsace. Ministro ufficiante
per alcuni anni presso la sinagoga Maayan Or di Nizza, ha svolto gli
studi rabbinici presso il Collegio Rabbinico Italiano sotto la guida di
rav G. Laras, ed é stato ordinato rabbino dal Rabbinical Seminary
International di New York. Parallelamente al suo ministero rabbinico
svolge da oltre vent’anni un’intensa attività di violinista
concertista, che lo ha portato a prodursi in più di mille concerti
nelle sale più importanti del mondo ed a effettuare decine di
registrazioni discografiche premiate dalla critica internazionale.

Per contattare rav Haim Cipriani scrivete a: ravcipriani@gmail.com

Ebraismo liberale

Un po’ di storia

Bruno Di Porto
ORIGINI E PRIMI SVILUPPI DEL MOVIMENTO EBRAICO DI RIFORMA - LO SCENARIO TEDESCO.
LA FIGURA, IL PENSIERO, L’ OPERA DI ABRAHAM GEIGER
Da “Hazman Veharaion – Il Tempo e l’ Idea”, Anno 11, nn. 1-2
Conversazione tenuta nella sede di Lev Chadash, a Milano, 14 Gennaio 2003 – 11 Shevat 576
Il movimento di riforma è iniziato in Germania ai primi dell’ Ottocento. Il vicino antefatto, a monte delle sue origini, è nel movimento illuministico dell’Haskalah, che ha avuto nel Settecento ed egualmente in Germania il padre e principale maestro in Moses Mendelssohn (nato a Dessau nel 1729 e morto a Berlino nel 1786). Partiamo sommariamente da questo precedente, di cui già vi ha parlato il professor Ugo Volli.

Nel corso del Settecento, specialmente nella seconda metà del secolo vi furono grandi sviluppi della civiltà europea, che cominciò ad entrare, con l’ invenzione del vapore (per dire un evento importante) nell’ età del pieno abbinamento tra progresso scientifico e tecnologia, con conseguenze socioeconomiche di grande portata. Si affrontarono molti problemi, recando criteri di razionalità e di rinnovamento nella logica della cultura illuministica. Tra i tanti problemi, si cominciò a valutare il miglioramento della condizione ebraica, con il presupposto che gli ebrei stessi dovessero migliorarsi emendandosi da caratteristiche negative ed asociali e si dovesse aiutare a farlo.

Si pensava che gli ebrei, prima di essere parificati dovessero emendarsi da difetti e da tutto un modo di vita che appariva ristretto, arretrato, asociale, inadeguato ad entrare nella società e nella modernità. Che questo modo di vita fosse stato indotto dalle persecuzioni e dalle restrizioni era un’ altra questione, che porrà nell’ Ottocento il nostro lombardo Cattaneo, ma intanto si guardava agli effetti e si voleva per gli ebrei un miglioramento (Verbesserung, Amélioration): miglioramento delle loro condizioni ma anche intrinseco, di loro stessi.

Si esigeva dagli ebrei di adeguarsi a costumi, leggi, parametri dell’ Europa. L’ imperatore Giuseppe II promulgò nel 1782 l’ editto di tolleranza, che non era ancora libertà religiosa e parificazione, ma segnò una svolta in queste direzioni, imponendo determinati adeguamenti, ad esempio di assumere cognomi, e non semplici patronimici, per essere identificati. Ad una parte degli ebrei il cambiamento e la normalizzazione arridevano, ad altri meno perché ci tenevano alla propria diversità ed autonomia. A chi non prendeva un cognome se ne affibbiava d’ autorità uno strano o ridicolo. Il padre di un rabbino slovacco dell’ Ottocento, andandosi a registrare, ebbe la brillante idea di darsi il raffinato cognome Schick, acronimo delle parole Shem Israel kadosh: il nome di Israele è santo, come a dire che ogni ebreo ha un nome glorioso per la sua stessa appartenenza.

Altri ebrei corrisposero con soddisfazione alle direttive imperiali, condividendo dall’ interno della cultura ebraica gli orientamenti dell’ illuminismo. L’ illuminismo aveva specifiche versioni nazionali nel quadro di fondo europeo: Philosophie des Lumières, Enlightment, Aufklärung, Illuminismo. Ebbe così anche la versione ebraica dell’ Haskalah dalla radice Sekhel che esprime l’ intelletto, l’ intelligenza,l’ istruzione. Gli illuministi ebrei, i maskilim, con attitudine autocritica, ritenevano necessarie modifiche nel proprio modi vita, in vista dell’ incontro con le società europee. Impostarono una riforma nel sistema scolastico-educativo e operarono per essa (uno dei pedagogisti dell’ Haskalah fu il goriziano Eliahu Morpurgo). Ritenevano che gli ebrei dovessero mettere da parte il medievale e composito Yiddish e imparare a parlare un elegante e aggiornato tedesco, come infatti fecero, curando nel contempo e modernizzando l’ ebraico. Nel 1783 diedero vita al periodico “Ha-Meassef”, scritto in ebraico con parti in tedesco in caratteri ebraici, che segnò la nascita del giornalismo ebraico nel clima della modernità. Mendelssohn e l’ Haskalah non parlarono di riforma religiosa, ma segnarono l’ incontro dell’ ebraismo con la modernità e lo prospettarono in termini di razionalità, come religione accordata con la ragione, sebbene la Torah fosse intesa da quel maestro come una legislazione rivelata, con una conseguente accentuazione dell’ elemento normativo, implicito nel termine legislazione. Se la legislazione era stata rivelata da Dio, difficilmente la si poteva modificare, e ciò era, in certo senso agli antipodi del futuro movimento di riforma; ma, a ben guardare, Mendelssohn definì la Torah in questo modo unilaterale per cavarsi dall’ impaccio delle dispute coi cristiani, che lo volevano portare su un nevralgico terreno teologico: tagliò corto dicendo che gli ebrei seguono una legge rivelata per loro, e non per altri, da Dio, senza entrare in discussioni teologiche.

Mendelssohn, amico di Lessing e introdotto nella cultura tedesca, era guardato con sospetto dagli ebrei conservatori, che temevano innovazioni ed alterazioni, tanto più che egli voleva sottrarre gli ebrei alla giurisdizione interna delle comunità, giudicante su stretti criteri halachici. Ma essi non potevano imputargli strappi sul terreno propriamente religioso, perché a questo egli ancora non pensava. A modifiche nel culto e nelle affermazioni dottrinali (non dico teologiche) giunsero, in un periodo successivo, circa vent’ anni dopo la sua morte, una parte dei discepoli.

Di discepoli Mendelssohn ne ebbe parecchi ed affezionatissimi, anche se si è esagerato nel descrivere il suo ambiente come una specie di corte hassidica intorno al rebbe: perché egli si occupava di altre cose, oltre l’ Ebraismo, e perché molti, che ci tennero ad essere suoi discepoli, furono poco a stretto contatto con lui. Nel movimento razionalista dell’ Haskalah confluì un rivolo dell’ eresia frankista, che era una continuazione del movimento messianico di Shabatai Zevi: questa propaggine, ormai in conflitto con l’ Ebraismo ufficiale, costituiva un ambiguo fermento tra l’ iniziatico e l’ innovativo, entrando in logge della Massoneria, che era un’ altra forza del secolo, in rapporto con la civiltà dei Lumi. . L’ argomento meriterebbe una conversazione, ma lo accenno appena per mostrare una varietà rispetto al razionalismo occidentale del clima illuministico e vi tornerò parlando della Riforma.

L’eredità di Mendelssohn si diramò in diversi fili ed esiti, diffondendosi in altre regioni del mondo ebraico. I suoi discendenti di sangue, seguendo la traiettoria dello spregiudicato ingresso nella società tedesca, si convertirono al Cristianesimo, in compagnia con un gran numero di ebrei tedeschi che scelsero la via comoda ma a volte anche ambigua, tortuosa, complessata dell’ assimilazione. L’ eredità intellettuale più elevata e meritevole si evolse nel contributo degli ebrei alla cultura europea e nella Wissenschaft des Judentums, la scienza del giudaismo. Un filone della nuova generazione di seguaci, proseguendo sulla strada del riformismo ebraico, lo applicò anche alla religione, rendendo il culto più snello e più attraente, il comportamento meno legato alle numerose norme ed affermando una visuale meno particolaristica e più universalistica.

Si evidenziarono, nel sorgente movimento di riforma, due problemi-chiave: definire l’ ambito e la portata della rivelazione divina, distinguendola dalle scelte ed applicazioni umane, che si possono spiegare con le diverse condizioni dei tempi e dei luoghi; definire l’ essenza dell’ identità ebraica in rapporto alla duplice connotazione religiosa e nazionale del popolo ebraico. Quanto al primo problema, si restrinse la portata della diretta rivelazione divina ai grandi principî direttivi dell’ agire umano ed ebraico, attribuendo le norme di applicazione all’ interpretazione che i sacerdoti e i saggi ne hanno dato con criteri correlativi alle condizioni storiche ed ambientali dei loro tempi, in modo di potere, con una interpretazione dinamica e progressiva, snellire il culto e il complesso dei precetti. Tale intendimento è tuttora alla base dell’ Ebraismo progressivo, salvo un recupero della tradizione come patrimonio identitario. Il fronte conservatore, già scosso dai decreti di Giuseppe II, dall’ Haskalah, dalla pressione napoleonica, reagì e fu allora che cominciò a chiamarsi e ad essere chiamato ortodosso, introducendo nel mondo ebraico un termine che fino a quel momento gli era rimasto estraneo. Il termine compare per la prima volta nel 1795 a difesa del complesso normativo e cerimoniale, minacciato dai tagli e dalle modifiche del movimento innovatore. L’ ortodossia ebraica è contraddistinta da un carattere ortoprassico, ma è, in effetti, un atto di fede il credere che certe cose vadano fatte perché le ha comandate Dio e sopratutto il credere che tutta la Torah sia parola divina. Il movimento riformatore pensa invece che Dio abbia ispirato dei grandi principî ma che il racconto biblico e le tante particolari prescrizioni siano opera umana, peraltro compiuta ed espressa in un’ atmosfera di devozione religiosa e di tensione verso l’ assoluto. Il movimento riformatore ribadiva con ciò l’ indole religiosa dell’ Ebraismo, distinguendola (ecco l’ altro aspetto di fondo) dalla matrice nazionale, che era considerata un fenomeno storico del passato, superabile, per quanto importante, con la grande trasformazione in corso attraverso l’ ingresso nelle moderne società nazionali europee. Avverto subito che il movimento di riforma nel Novecento ha ricuperato la dimensione di popolo (Peoplehood), perché è, per sua natura, capace di evolversi con il tempo e l’ evoluzione può anche significare dei ricuperi, come è avvenuto sul piano del rituale e nella valorizzazione del Talmud.

La nuova generazione di maskilim vide la rivoluzione francese, che, andando al di là dell’ editto di tolleranza, emancipò gli ebrei, ma sul presupposto, scandito dal deputato Clermont Tonnèrre all’ assemblea nazionale, che essi non dovessero più costituire una nazione separata, come furono fino ad allora, sebbene mancassero di un territorio e di uno stato. Dove arrivavano le armi francesi arrivava l’ emancipazione e gli ebrei diventavano cittadini, figli delle nuove patrie. La parola patria diveniva un termine pregnante ed impegnativo. Si entrava a far parte, in mezzo ai non ebrei, di organismi politici e civili, degli stati moderni. Napoleone impose agli stati tedeschi, non entusiasti della cosa, di accogliere gli ebrei come cittadini, ma nel tempo stesso esigeva dagli ebrei il chiarimento sul loro pieno inserimento nell’ Europa, che andava assoggettando e plasmando.

La percezione di essere un popolo proveniente nell’ antichità da una sua terra non scomparve negli ebrei, ma si attenuò. Certi la conservavano, altri la smarrivano. E’ questo uno dei problemi-chiave nel nostro discorso, che ricorrerà nella conversazione di questa sera. Nel 1891, alla fine dell’ Ottocento, in una lettera a Ruggero Bonghi, Alessandro D’ Ancona, personalità dell’ Ebraismo nella nuova Italia, scrisse di essere un correligionario degli ebrei perseguitati di tanti paesi: un correligionario, sebbene non osservante, e non un connazionale, come altri ebrei affettavano dire. D’ Ancona era un laico ma non un riformato. Tra i rabbini italiani del Risorgimento e della Nuova Italia vi sono diverse gradazioni e sfumature di fronte a tale questione. Ma anche coloro che perseveravano nel credersi una nazione in genere lo facevano tra ebrei, in sedi ebraiche, adottando all’ esterno un linguaggio consono all’ integrazione e a buoni sentimenti universali. Il giovane Giacomo Venezian che cadde nella difesa della repubblica Romana, cioè per la causa italiana, sentiva in pari tempo il richiamo della nazionalità ebraica, ma lo scrisse in una lettera privata, pubblicata tanto tempo dopo. Dall’ esterno v’ era chi diffidava degli ebrei come stranieri e chiedeva loro di chiarire senza riserve se fossero una religione o una nazione (Mussolini lo chiederà brutalmente in un suo intervento giornalistico: Religione o nazione?). Vedete quanto il problema era travagliante e complesso. In un mio studio ho dato un piccolo saggio di semantica storica sull’ uso dei termini, che corrispondevano a sentimenti e a modi di prospettarsi. Nell’ Europa centrale Fu trovata una soluzione, in campo neoortodosso, con l’ originale formula della nazionalità religiosa, per cui gli ebrei si conservavano come popolo sacerdotale, distinto dagli altri per quanto atteneva alla spiritualità religiosa, e invece si frazionavano tra i popoli gentili nel campo politico e civile. Il rabbino Hirsch, compagno di studi di Geiger, fondatore della Neoortodossia, la chiamava nazione della Torah, politicamente neutra e disarmata, nel segno della ferita di Giacobbe zoppicante dopo la lotta con l’ angelo. Per Benamozegh gli ebrei sono i leviti del mondo moderno, dotati di un’ identità etnico-religiosa nel loro frazionamento tra le nazioni come erano i leviti tra le tribù di Israele. Del resto anche la Chiesa cattolica si chiama Popolo di Dio. Ma, al principio dell’ Ottocento, nell’ entusiasmo della prima emancipazione, i primi riformatori religiosi pensarono che si dovesse essere chiari, sinceri, coerenti e dirimenti, mettendo fine alla dimensione nazionale dell’ Ebraismo e definendo l’ Ebraismo come una religione. Riprenderò il tema con Abraham Geiger.

Dopo la sconfitta di Napoleone, gli stati tedeschi, come quelli italiani, revocarono l’ emancipazione e la cultura romantica tedesca concepì la compenetrazione della stirpe tedesca, teutonica, con il Cristianesimo, come parte della sua tradizione, della sua storia, del suo spirito. Agli ebrei, per dar loro eguali diritti, si chiedeva di rinunciare alla nazione e alla religione, vedendo la loro religione simmetricamente compenetrata con l’ anima e i costumi della loro stirpe; altrimenti restassero emarginati. In quella situazione molti ebrei tagliavano la corda dell’ Ebraismo facendosi tedeschi e cristiani. Nemmeno l’ ortodossia, come si chiamò la corrente conservatrice e integralistica dell’ Ebraismo riusciva a fermarli. I riformati pensarono di salvare onorevolmente il salvabile, rinunciando alla nazione e riaffermando la religione. Siccome la stessa religione era rigorosa e puntigliosa, vedendo che molti se ne allontanavano, i riformati pensarono analogamente di salvare gradevolmente il salvabile, snellendo il culto e rendendolo più attraente, per così dire competitivo con quello cristiano. Badarono all’ estetica del culto, con belle sinagoghe, con decoro, abiti talari, cori, voci miste, anche femminili, musica: cose che possono sembrare estrinseche e che invece coinvolgono, per chi davvero partecipa, la sfera dei sentimenti, conforme all’ autentico significato greco dell’ estetica, che si connette al sentire ed al percepire. Ma non badarono soltanto all’ estetica e ai sentimenti bensì anche all’ etica, privilegiando i profeti rispetto alla minuziosa normativa. Salvavano il salvabile ma amarono quello che salvavano ed erano convinti di quello che facevano. Parlo dei più seri. Che poi attorno al nocciolo buono gravitassero il formalismo, l’ opportunismo, la provvisorietà di strati borghesi ripiegati su un ebraismo facile e in procinto di assimilarsi, questo attiene al costante rapporto tra autenticità e superficialità, tra adesione seria e frequentazione distratta, tra fedeltà dei padri ed incredulità dei figli, o magari tra routine di padri e riscoperta di figli, che c’ è in ogni religione e cui non sfuggì l’ ortodossia, se si studiano tanti casi di assimilati o di materialisti discesi da rabbinici lombi, o di entusiasti risvegliatori come Alfonso Pacifici, che denunciò la dilapidazione del patrimonio compiuta dalla prodigalità dei padri.

Chi erano i primi riformati? Faccio due nomi, di due seguaci di Mendelssohn della nuova generazione: David Friedlaender (1750-1834) e Israel Jacobson (1768-1828), Friedlaender era un imprenditore ed intellettuale, frequentante l’ ambiente di corte prussiano. Jacobson era un colto finanziere. Entrambi sposarono donne di ricche e illustri famiglie ebraiche. Entrambi si dedicarono all’ istruzione dei ragazzi ebrei con criteri moderni, fondando scuole. Entrambi svolsero un ruolo di rappresentanza delle comunità ebraiche e si impegnarono per ottenere agli ebrei l’ emancipazione. Friedlaender lo fece in Prussia e Jacobson nel Brunswick, che, in epoca napoleonica, divenne parte del regno di Westfalia sotto Girolamo Bonaparte. Jacobson, entusiasta di Napoleone, gli suggerì l’ idea di indire il Sinedrio ebraico o almeno influì su questa sua decisione. Nel 1808 egli presiedette il Concistoro degli ebrei di Vestfalia, che discusse tra le varie riforme anche aspetti del culto. A Kassel nel 1809 fu fondata la scuola concistoriale comprendente una sinagoga, dove parti delle preghiere erano cantate in tedesco e le prediche erano tenute in tedesco (per questo aspetto anche nelle sinagoghe italiane, ortodosse, si predicava in italiano). Il 17 luglio 1810 fu aperta la sinagoga della scuola di Seesen con il suono della campana, il canto di inni in tedesco e l’ introduzione musicale dell’ organo. Lo stesso Jacobson, senza essere rabbino, officiò cerimonie in un abito talare simile a quello dei pastori protestanti. Si imitava indubbiamente la religione cristiana, nella versione protestante, ma la base dottrinale e teologica restava ebraica. Per Friedlaender alla base dell’ Ebraismo è la dottrina dell’ unità e della santità di Dio. Jacobson non solo mantenne la cerimonia del Bar mitzvah, ma inaugurò una sinagoga presso la sua abitazione di Berlino, dove si trasferì, proprio per festeggiare il Bar mitzvah del figlio. Istituirono, oltre la cerimonia del Bar Mitzvah, la confermazione, caratteristica dell’ Ebraismo riformato. Quel che abolirono fu il riferimento liturgico alla restaurazione messianica del Tempio in Gerusalemme e al ristabilimento dei sacrifici. Friedlaender fece esplicita rinuncia a queste credenze dopo l’ editto del 1812 che emancipò gli ebrei in Prussia, salvo ad escluderli dagli impieghi statali (era dunque una semiemancipazione, ma sembrò già tanto). In questo taglio di aspettative ebraiche per il futuro, che segnò l’ inizio della riforma, distinguo due motivi:

il congedo dall’ idea del sacrificio di animali e dalle minuziose norme di purità del tempio inerisce ad una moderna spiritualizzazione della religione, ad un civile umanesimo che non tollera più di scannare animali come offerta a Dio. Già i profeti di Israele se ne erano allontanati, predicando le buone azioni al posto dei sacrifici; già gli stessi rabbini hanno sostituito al sacrificio il servizio della parola, mantenendo però la credenza nel ristabilimento messianico del culto sacrificale, con una corrispondente invocazione liturgica di quel gran giorno futuro;
il congedo, come ho spiegato, dalla componente nazionale dell’ Ebraismo, che ha il suo riferimento in Gerusalemme, per il radicamento senza riserve nelle nazioni e negli Stati di cui gli ebrei divenivano cittadini. Felice per avere ottenuto l’ emancipazione, Friedlaender volle rassicurare il governo e la società sulla completa credibilità degli ebrei come bravi sudditi prussiani, senza quella riserva mentale, culturale, religiosa, che veniva loro attribuita, non senza ragione, di sentirsi membri di una propria nazione. Molto più platonica era l’ aspirazione a riunirsi nella terra dei padri.
Dopo la sconfitta di Napoleone gli stati tedeschi revocarono la parificazione e si dovette ricominciare daccapo la ricerca dell’ emancipazione. Vi fu anche una violenta reazione popolare antiebraica nel moto dello Hep! Hep!, che tuttavia fu considerata una tragica parentesi. Ma, prescindendo da queste aggressioni, non si trattò soltanto di un ritorno degli stati ad una legislazione restrittiva, bensì di un atteggiamento della cultura romantica tedesca che concepiva la Germania come un organismo insieme nazionale e religioso, teutonico-cristiano. Non si era ancora al razzismo, sebbene già vi fossero le avvisaglie, ma perché gli ebrei potessero unirsi alla Germania dovevano fondersi con la nazione teutonica, rinunciando al loro patrimonio etnico di Am Israel e alla loro religione, cioè assimilarsi e non pochi lo fecero, a cominciare dai discendenti di Mendelssohn. In via subordinata si concedeva il mantenimento della religione ebraica e la fine dell’ identità etnico-nazionale. Non era un ricatto completo, perché gli ebrei potevano campare e fare i loro affari, ma senza parificazione, senza integrarsi nella società tedesca, come molti di loro volevano e facevano, battezzandosi con cinico opportunismo, come fece Heine. Ebbene di fronte alla fuga assimilazionistica, che neppure l’ ortodossia era in grado di impedire, i riformati adottarono la via della rinuncia alla componente nazionale, conservando, modificata, la componente religiosa. Non fu per loro soltanto la scelta del male minore, ma un’ opzione consapevole di riconfigurazione moderna dell’ identità, che in fondo avvenne anche tra gli ortodossi, soprattutto da noi.

Da parte ebraica, la componente nazionale, che era stata sempre presente, fu dai più attenuata o accantonata, anche se nel linguaggio tra ebrei si seguitava a usare il termine nazione, nazionale, connazionale. Anche gli ortodossi dichiaravano la loro devozione alle nuove patrie e rimandavano la ricostituzione di Sion, come l’ Ebraismo insegnava da sempre, all’ opera del messia, tanto che respinsero l’ appello di Herzl. La differenza recata da Friedlaender e dalla Riforma fu un esplicito congedo dall’ identità nazionale per ridurre l’ Ebraismo alla dimensione religiosa. Nel Novecento la Riforma ha ricuperato la dimensione di popolo nell’ Ebraismo, e ne sono ben lieto (altrimenti non sarei riformato), ma io parlo questa sera delle sue origini. Friedlaender, con ostentazione lealistica, volle che la modifica della visuale entrasse anche nelle preghiere, insegnando a pregare per il bene dei nuovi compatrioti e non per la ricostruzione del tempio in Gerusalemme.
Per opera di Jacobson sorsero altre sinagoghe (è lui il fondatore delle prime sinagoghe riformate), ma l’ ortodossia, allarmatissima, contrattaccò, ottenendo nel 1823 che il re di Prussia Federico Guglielmo III frenasse e quasi abolisse la Riforma. Vi era, infatti, un rigido controllo statale della vita religiosa, anche di quella ebraica, che prima dell’ emancipazione era gestita in autonomia dalle comunità. Diventando prussiani, gli ebrei cadevano sotto la giurisdizione regia, il che in un certo senso dava loro prestigio e li faceva sentire sudditi come gli altri.

Dobbiamo però capire perché il governo prussiano abbia deciso di appoggiare l’ ortodossia ebraica e non la riforma. I governi oscillarono al riguardo, ma in Prussia dal 1823 al 1840 prevalse il sostegno agli ortodossi e dobbiamo cercare di capirlo. La riforma avrebbe dovuto essere più accetta ai governi perché integrava meglio gli ebrei nella vita del paese, li rendeva un po’ simili ai cristiani, ne faceva dei completi tedeschi. Per esempio il governo austriaco nel Lombardo-Veneto premette, senza successo, sulla comunità ebraica di Mantova affinché introducesse preghiere in italiano, in modo di sapere come gli ebrei pregavano, cosa dicevano pregando. Ma, per altro verso, proprio la somiglianza turbava il clero e i conservatori, specie quando vedevano ebrei in veste talare o quando addirittura udivano il suono delle campane. Si sa che, per molti, gli ebrei come fanno fanno male. Quegli ebrei che, senza convertirsi e continuando a non credere alla divinità di Gesù, si davano atteggiamenti cristianeggianti costituivano una provocazione, una sorta di insidioso mimetismo e un pericolo di confusione. Era meglio che gli ebrei facessero gli ebrei. Era meglio chiarire la differenza e la distanza. Ma c’ era un altro motivo che spinse il governo prussiano, come di altri stati tedeschi, a favorire l’ ortodossia e cioè il sospetto politico-ideologico per le innovazioni. La Riforma era nata nel periodo napoleonico e all’ insegna del progresso, dava una lettura non letterale della Bibbia, era un cattivo esempio per il mondo protestante, scosso da analoghi fermenti. Dal progresso religioso si poteva passare a quello politico, insidiando l’ assolutismo, che quindi preferì, per un certo tempo, la conservazione del modello ortodosso. Jacobson soffrì per quel colpo e si abbatté, anche per il dispiacere nel vedere che una parte dei suoi dieci figli si battezzava. Va ribadito che la fuga dall’ ebraismo colpiva pure le famiglie ortodosse. Carlo Marx discendeva da rabbini ma nel 1824 la famiglia si convertì al protestantesimo. Le figlie del grande Mendelssohn, senza passare per la Riforma, si convertirono. Fu una fiumana assimilatrice, come disse da noi Dante Lattes, nella quale giocò l’ opportunistica ambizione di inserimento e di carriere. Heine definì il battesimo il lasciapassare per la civiltà cristiana.
Ma mentre Jacobson e Friedlaender iniziavano, da laici, il movimento, nasceva nell’ età napoleonica una terza generazione e sorgeva la prima generazione di rabbini che prenderanno le redini della Riforma, rafforzandola e legittimandola con il loro carisma. Nel 1806 nacque, presso Poznan, nella Polonia occidentale annessa alla Prussia, Samuel Holdheim, e nel 1810 nacque a Francoforte Abraham Geiger. I due divennero le massime guide di due ali della Riforma: Holdheim della radicale, che arrivò a sostituire il sabato con la domenica e a fare a meno della circoncisione; Geiger dell’ ala più temperata, che nei tempi lunghi è prevalsa. Holdheim concepiva la Riforma come una rivoluzione. Geiger come una evoluzione.

Nella liquidazione holdheimiana di tanta parte di precetti e del cerimoniale agiva principalmente una disinvoltura radicale di segno modernistico-razionalistico, ma vi confluì, per sentieri che si devono meglio indagare, un rivolo del paradossale filone antinomico esistente nell’ Ebraismo e legato, come dicevo per l’Haskalah, al frankismo: elementi frankisti parteciparono alla fondazione della sinagoga riformata in Praga. L’ ottica dell’ antinomismo è messianica, nel senso che, anche per una componente dell’ Ebraismo talmudico, il messia porterà molta innovazione e revisione di consuetudini e di legami. Per esempio, il messia avrebbe abolito le feste, tranne Purim. Ebbene l’ entusiasmo ottocentesco degli ebrei emancipati rasentava, in chiave di fiducia nel progresso, una percezione messianica di fortunati tempi nuovi, d’ accordo con certi spiriti del secolo, derisi dal nostro Leopardi: le magnifiche sorti e progressive. L’ ala temperata della Riforma, pur partecipe in una certa misura di quel clima, non arrivò a tanto. Per l’ala temperata e per noi oggi non si deve parlare di antinomismo ma di relativizzazione, di misura, di flessibilità nell’ intendimento delle mizvot, che restano un caratterizzante caposaldo nella visione ebraica e che compiamo con afflato e gioiosità, nella nostra via di mezzo tra ipernomismo e antinomismo; nella nostra personalizzata e responsabilizzata professione delle mizvot. Questo era Geiger, ideologicamente evoluzionista, più temperato di Holdheim, ma molto deciso nel perseguire la Riforma, vero padre della Riforma, tanto da avere avuto giovanissimo la tentazione dello scisma, ma la trattenne in sé questa tentazione e presto si decise ad evitarlo, propugnando l’ unità dell’ Ebraismo insieme con la volontà di rinnovarlo. Non volle lo scisma, si adoperò per mantenere rapporti con amici e corrispondenti ortodossi, come Samson Raphael Hirsch, divenuto il padre della neoortodossia e il nostro Samuel David Luzzatto. Nemmeno il rivoluzionario Holdheim ha compiuto uno scisma. Lo scisma non ci è stato, sebbene vi sia all’ interno dell’ Ebraismo una divisione, che noi intendiamo come una articolazione, nel rispetto e nel riconoscimento delle altre correnti, mentre gli ortodossi non ci riconoscono, ma non sono arrivati grazie a Dio al herem, che fu comminato invero a Mordecai Kaplan, fondatore del ricostruzionismo. In Germania dalle comunità, dove nei tempi lunghi prevalsero i riformati, furono gli ortodossi a voler uscire, fondandone di diverse, come vedremo. Ma neanche gli ortodossi arrivarono allo scisma.

Il primo scisma felicemente evitato da Geiger fu in famiglia, col fratellastro Salomon, maggiore di 18 anni e suo primo maestro, che, rimasto sempre ortodosso, continuò a voler bene a quel fratellino prodigio, capace a tre anni di cominciare a leggere la bibbia e a 5 il Talmud, anche quando divenne un battagliero riformatore. Abraham perse presto il padre. Anche la madre era una osservante ortodossa e continuò, come Salomon, a volergli bene. Come intellettuale e studioso, egli mantenne le promesse della precoce fanciullezza. Studiò lingue orientali e classiche, amò e coltivò la letteratura tedesca, come appassionato lettore di Goethe e di Schiller, fu filologo e storico da protagonista della Wissenschaft des Judentums, alla quale la Riforma diede un grande apporto. Nel tempo stesso Abraham fu rabbino, uomo di religione, e leader, uomo d’ azione.

Studiò alla prestigiosa università di Heidelberg e poi a Bonn. Presentò nel 1833 un lavoro in latino sul tema Cosa prese Maometto dal Giudaismo?, con cui vinse un premio che era stato indetto su questo soggetto. Tale saggio gli fu riconosciuto come tesi di laurea all’ università di Marburg. Dal rabbino di Marburg ricevette il diploma rabbinico, mancando a quel tempo in Germania precisi collegi di studi rabbinici. Così nel ’32, a soli 22 anni, intraprese la carriera rabbinica nella piccola comunità di Wiesbaden, vicina alla nativa Francoforte, dove cominciò ad introdurre modeste riforme nel culto: lo abbreviò, tagliando la parte dei pyyutim (poesie liturgiche non sempre valide), rendendolo più gradevole, dando solennità alle cerimonie nuziali, tenendo belle prediche in forbito tedesco.I fedeli erano in maggioranza contenti e le autorità seguivano soddisfatte il suo lavoro, ma lo limitavano nella carriera ad una sorta di buon curato di una piccola località. Non lo nominavano Landrabbiner, mentre lui volava alto, sicché nel 1838, senza sapere dove potesse approdare, lasciò quella cattedra. Corse voce, tra gli avversari, che avesse dovuto andarsene per lo scandalo dato con azioni vietate di sabato. Se fosse stato per questo, avrebbe combattuto sul posto. Intanto nel 1835 fondò e diresse un periodico di cultura, intitolato “Wissenschaftliche Zeitschrift fuer juedische Theologie” (Periodico scientifico per la teologia ebraica, un titolo molto germanico). Si affermava come maestro della Scienza del Giudaismo, una scienza che alimentava la coscienza. Fu in rapporto con Leopold Zunz, col nostro Shadal e tanti altri. Geiger coltivò la storia come deposito comune delle diverse anime del Giudaismo. Riteneva che le diverse correnti si potessero ritrovare nel gran patrimonio comune della Storia. Fautore della modifica in una definizione soltanto religiosa, rilevava però che il Giudaismo era nato con una conformazione anche nazionale e che questa, anche nel venir superata dai nuovi tempi, gli conferiva un timbro aggregante di concretezza storica, sociale, giuridica. Insomma superava ma non rinnegava la dimensione nazionale del Giudaismo. Riconosceva l’ indole un po’ barbarica della circoncisione, ma, a differenza di Holdheim, vi vedeva la suggestiva profondità del Patto e la mantenne. In Geiger il movimento di riforma trovava autorevolezza rabbinica e consistenza culturale, entrava nella fase matura. Ben radicato nei fondamenti teologici dell’ Ebraismo, seguiva con interesse gli sviluppi delle scuole cristiane, che si elaboravano a livello delle grandi università tedesche e chiese, invano, che si istituisse sotto l’ egida dello Stato almeno una cattedra accademica di teologia ebraica. L’ autentico successore di Geiger in questa elevata ambizione scientifica ed accademica dell’ Ebraismo liberale sarà il filosofo Hermann Cohen, uomo di ben altra generazione, nato nel 1842. Solo sul finire della vita, realizzò il sogno di una qualificata scuola teologica ebraica, da lui diretta, in Berlino, ma non fu statale bensì fondata su donazioni di privati.

Lasciata Wiesbaden, Geiger fu chiamato nell’ importante comunità di Breslau o per noi Breslavia nella Germania orientale, per opera del filologo Wilhelm Freund, che era esponente della Riforma nella zona, ma la comunità era divisa per la lotta con la corrente ortodossa che faceva capo al rabbino Salomon Tiktin, figlio, meno dotato, del grande Gedaliah Tiktin. Questi già gli era avverso per quanto leggeva nella sua rivista e fu subito contrariato all’ ascolto della sua prima predica, tenuta per giunta in veste talare tipo pastore luterano. Tiktin e i suoi ortodossi ricorsero al potere governativo, che fu messo in guardia anche sulle idee politiche di Geiger. Tanto più si doveva indagare prima di dargli la cittadinanza prussiana, necessaria per officiare a Breslau, sicchè si incaricò un deputato di leggersi le annate della sua rivista, ma non vi trovò concetti da censurare. Nondimeno gli fecero sospirare per più di un anno la cittadinanza attraverso uno snervante iter burocratico. Finalmente cittadino prussiano, a Breslau sposò nel ’40 Emilie Oppenheim, che ebbe il dolore di perdere presto. Uno dei figli, Ludwig, sarà il suo affettuoso biografo. Lo avrebbe voluto avviare alla carriera rabbinica, ma egli fu un accedemico, un laico professore universitario. In compenso, rimase fedele all’ Ebraismo e studiò e ricostruì l’ opera del padre, Geiger vestiva quasi da pastore luterano e adottò forme di culto che potevano somigliare a quello cristiano, sopratutto protestante, e seguì con interesse di studioso e di religioso gli sviluppi della teologia cristiana, ma la sua distinzione dal Cristianesimo è netta, per la pura semplicità del monoteismo ebraico, per il rifiuto della divinità e anche della messianicità di Gesù (considerato peraltro con interesse e simpatia), per una distanza dalle vaporose e sentimentali forme del romanticismo cristiano tedesco e per la caratterizzazione classica del suo Ebraismo, come religione chiara, ottimistica, mondanamente attiva, che si ritroverà in Leo Baeck, assertore appunto della differenza tra classicità ebraica e un Cristianesimo visto come religione romantica, idealizzante, sognante, anche se Baeck, per altro verso, attinse da Schleiermacker la componente emotiva del fenomeno religioso. Da Kant Geiger e Cohen assunsero il concetto dell’ uscita della sfera religiosa dalla minorità, dopo che altre facoltà umane con l’ illuminismo si erano emancipate. L’ emancipazione religiosa segna il culmine della generale emancipazione umana e le conferisce autenticità. L’ Ebraismo, che fin dall’ inizio è stato pervaso di spirito religioso, deve aver parte sostanziale in questo processo di liberazione dell’ umanità, segnandole le vie del progresso spirituale. L’ Ebraismo, portatore più che depositario della Rivelazione, la porta avanti in progresso, nel presente e in prospettiva dell’ Avvenire: per intendere il concetto va spiegato che per Geiger la rivelazione non è un evento prodigiosamente avvenuto in eccezionali circostanze, ma consiste nella capacità o vocazione di contatto della ragione umana con la Prima causa dell’ universo. Israele, cuore religioso dell’ umanità, ha avuto e deve serbare tale talento, sicché la verità dell’ Ebraismo non si chiude con il canone della Torah, ma procede, nel solco della Torah, verso nuove comprensioni camminando con la Storia. Per lui non era tanto la Torah ad aver forgiato la grandezza del popolo ebraico perché la stessa Torah era il frutto del genio ebraico, ispirato da Dio e procedente nella rivelazione progressiva al di là della stessa Torah. Mentre il sadduceismo si chiudeva nella lettera della Torah, il fariseismo rappresentava per Geiger lo sviluppo del genio ebraico oltre la Torah. E’ interessante notarlo perché invece gli ortodossi iscrivevano la riforma, per il suo ripudio di parte della normativa talmudica, nella tipologia del sadduceismo e del caraitismo. C’ è, tra gli ortodossi, chi segue ancora questo modulo polemico; si veda l’ articolo contro gli innovatori del rabbino Alberto Somekh nel numero di maggio-agosto 2002 della “Rassegna Mensile di Israel”. E’ diretto, ci vuol poco a capirlo, contro noi progressivi esordienti in Italia. Invece Geiger, come poi Leo Baeck, tra sadducesimo e fariseismo, optò per il secondo, pur studiando rigorosamente anche il primo con sereno esame storico. Stimava il fariseismo portatore di significati che alimentarono la vita nazionale nelle condizioni più difficili ed al di là della distruzione del centro nazionale. Il popolo ebraico riuscì a conservarsi nazione nell’ esilio perché era portatore di un valore che superava e inverava la nazione stessa (qui, con le dovute differenze, si può accostare a Benamozegh). L’ Ebraismo è stato più che nazione e questa sua indole fermenta anche nel suo moderno apporto alla vita delle nazioni, nel senso di sapere sposare i patriottismi europei e di por loro, nel contempo, una prospettiva universale, inoltrata oltre i limiti gretti ed esclusivi delle nazioni. Lo si vede bene nel discorso tenuto da Geiger nel 1862 per il cinquantenario della vittoria sui francesi nella battaglia di Lipsia, la battaglia delle nazioni, che segnò la premessa per l’ ascesa della Germania. Il rabbino celebrò la gloria militare della patria tedesca, ma invitò i connazionali a fidare maggiormente nelle virtù civili e culturali, ed esortò a cercare le vie della pace con la vicina potenza francese, auspicando o ottimisticamente prevedendo che, passati altri 50 anni, cioè nel 1912, nel centenario di Lipsia, Germania e Francia finalmente si intendessero da nazioni sorelle in una nuova Europa. Geiger non poté naturalmente vedere quel giorno che smentì penosamente il suo auspicio, poiché l’ anno dopo scoppiò la prima guerra mondiale; ma non fu del tutto un falso profeta, fu un presbite che vedeva tempi più lontani, al di là di ulteriori e terribili tempeste, come sovente accade ai profeti. Oggi Germania e Francia formano un possente binomio dell’ Europa, anche se la loro intesa non mi piace troppo, ma questo è un altro discorso. Certo non si fanno più guerra e dovrebbero conoscere quel profetico discorso del rabbino. Otto anni dopo, nello scontro del 1870, Geiger si mostrò più nazionalista ed ebbe, in proposito, un aspro confronto con l’ amico di giovinezza e correligionario Joseph Dernburg, tedesco anche con lui ma vivente in Francia e familiarizzato con la Francia (dove peraltro anche lui fece un interessante viaggio). Dernburg, come intellettuale e come ebreo, ammirava la Francia, la prima nazione emancipatrice, dove l’ emancipazione non era stata revocata dalla restaurata monarchia. Molti ebrei erano ammiratori della Francia. Lo sarà, tra gli altri, Nahum Sokolow, che dalla Polonia stenterà a rendersi conto dell’ accanimento sciovinistico francese all’ inizio dell’ Affare Dreyfus. La delusione della Francia concorrerà alla svolta sionista di Sokolow. Dernburg, vedendo lontano, prevedeva il montare del nazionalismo prussiano dopo la vittoria sulla Francia e il pericolo che ne derivava per gli ebrei. Geiger considerava invece Napoleone III un avventuriero (anche Mazzini lo considerava tale, ma Geiger in più era tedesco) e, pur riconoscendo l’ avversione di molti tedeschi per gli ebrei, valutava lo slancio culturale e spirituale dell’ Ebraismo tedesco, con la Scienza del Giudaismo e con la Riforma, come prova delle grandi prospettive aperte alla civiltà di Israele dall’ incontro con la Germania.

Nel 1862-63 Geiger ebbe la cattedra rabbinica nella sua Francoforte, denominata, per il prestigio culturale nel campo ebraico, la Yavne della Germania ed Europa ottocentesca (si veda il settimanale “Israel” del 27 aprile 1933): l’ ortodosso rabbino Moses Sofer si diede, per devota umiltà, l’ epiteto ha-katan (il piccolo, l’ umile), ma lo contrappesò con il glorioso toponimo di Francoforte sul Meno. A Francoforte Abraham rivide il fratello e suo figlio Lazar, un agnostico osservantissimo, come pur ce ne sono oggi, che fu lieto di conoscere lo zio, ma che, con parecchia ragione, evitava di andare da lui a pranzo, non fidandosi della sua khasherut. Sempre librato tra l’ ambito ebraico e quello civile tedesco, difese Francoforte da un attacco del severo storico nazionalista Treitschke, che la accusava di non vedere come avrebbe dovuto le sue prerogative e ai suoi onori all’ astro prussiano dell’ unificazione tedesca. Lo stesso Treitshke, per inciso, attaccò duramente, da antisemita, lo storico ebreo Graetz ed ebbe poi una polemica con Hermann Cohen. Il riambientamento nella città nativa non fu molto agevole e nel 1869 accettò di buon grado la chiamata nella grande Berlino, dove diresse un importante istituto di cultura e teologia ebraica, unendo al massimo le funzioni di dotto docente, di scrittore e pubblicista, di rabbino in continuo servizio, promotore di sinodi, sulla breccia per grandi questioni, tra cui principalmente quella dell’ assetto delle comunità, contro la legge voluta dal deputato ebreo Lasker, che autorizzò l’ uscita dei singoli, senza bisogno di abiura. L’ amico Cavaglion sta certamente con Lasker e inorridirà a sentire di Geiger. Geiger, che vi si opponeva, da assertore di un regime di obbligo, contraddiceva il suo liberalismo, esattamente come il nostro rabbino Giuseppe Levi, incline con prudenza italiana alla Riforma ma egualmente accentratore e unitario, lungo la linea che condusse alla legge del 1930, attaccata, in nome della libertà di coscienza, nel suo ultimo libro e in questa nostra sede, appunto da Alberto Cavaglion. Vedete quanta complessità è nelle umane e nelle ebraiche cose. Il lavoro era formidabile e il 23 ottobre 1874, all’ età di 64 anni, fu trovato morto nel suo letto, in rapida e immatura fine di una alacre vita. Era del resto una durata media nell’ esistenza di molti personaggi. La maggior parte dei suoi studi comparve nel citato periodico da lui fondato e diretto “Wissenschafttliche Zeitschrift fuer juedische Theologie”, ma pubblicò nel 1857 la maggiore opera Urschrift und uebersetzungen der Bibel in ihrer Abhaengigkeit von der inneren Entwicklung des Judentums (Gli originali testi e le traduzioni della Bibbia nel loro rapporto con lo sviluppo del Giudaismo).

REGINA JONAS, LA PRIMA DONNA RABBINO, ESEMPIO DI TENACIA ED ABNEGAZIONE, MARTIRE DELLA SHOAH
Dicevo sopra che, nella concezione della Riforma, Dio ha ispirato i grandi principî direttivi dell’ agire umano ed ebraico, ma le norme applicative sono variate a seconda delle condizioni e degli atteggiamenti ambientali ed epocali. Una delle conseguenze innovative fu l’ abolizione della separazione dei sessi nella preghiera, plausibile alla luce di passate discriminazioni di ordine antropologico, psicologico, morale sulla radicale differenza di ruoli e sulla pericolosità femminile, ma non necessariamente perpetuabile. L’ ortodossia reagì decisamente all’ innovazione, per voce di due rabbini sopra nominati, Moses Schick e Moses Sofer, dichiarando non idonee al culto le sinagoghe prive della mehitzah, ossia di congegni divisori, o mediante matroneo su piano differente o almeno mediante tramezzi coperti. La commistione delle donne in sinagoga, le voci femminili nei cori e peggio l’ ammissione di donne a studi sacri insieme con gli uomini (penso al meraviglioso film musicale Jentl di Barbara Streisand), fu argomento non solo di scandalo ma di ironie come pericolosa stranezza nel mondo ortodosso. Anche in Italia, dove invalsero la maggiorità religiosa delle fanciulle e le voci femminili nei cori, si assumeva la partecipazione femminile a dimostrazione della bizzarria modernistica regnante nel movimento di riforma, come ben si vede nella rubrica del rabbino Flaminio Servi sul periodico “Il Vessillo Israelitico”, intitolata All’ Americana, che considerava l’ America territorio di non invidiabili stranezze, introdotte dal congeniale modernismo. L’ America fu invero, dopo la Germania e per opera degli emigrati tedeschi, il grande scenario del movimento di Riforma, con il riprodursi della differenza tra la corrente temperata, ad esempio del rabbino Wise, e quella radicale del rabbino Einhorn.
La Riforma avvicinò per tempo i sessi nel culto, ma la via per l’ accesso delle donne al rabbinato fu lunga, anche per scarsezza di richiesta da parte delle interessate. Per quanto ne so, il fenomeno risale agli anni ’80 del Novecento e vede la pari apertura dell’ Ebraismo Conservative rispetto a quello Reform. Per le poche che vi aspiravano il cammino era travagliato e nel Giorno della memoria desidero ricordare la figura di una antesignana, martire della Shoah: Regina Jonas, nata a Berlino nel 1902, perita ad Auschwitz nel 1944. Fu ammessa, con una ventina di compagne, al Seminario rabbinico liberale e sostenne nel 1930 la tesi in materia halakhica sul tema Può una donna conseguire il magistero rabbinico? Regina sostenne che ostavano ragioni storico-antropologiche, non teologiche, e personalizzando l’ elaborato, scrisse: “Amo questa professione e con tutte le mie forze la perseguo per quando sarà possibile”. Ebbe tra gli esaminatori il grande Leo Baeck. Le diedero il diploma di insegnante di religione, ma il prof. Hanack Albeck si oppose all’ ordinazione, che le fu poi accordata nel ’35 dal rabbino Dienemann con il benedicente saluto Possa Dio accompagnarla in tutte le sue vie. Le vie furono dolorose. Dienemann dovette difenderla dai colleghi, pur riformati, che volevano invalidare l’ ordinazione, mentre la persecuzione nazista imperversava e lei, la Signorina Rabbi Jonas si prodigava per i fratelli in angustia. Fu in prima linea per i soccorsi nella Notte dei cristalli. Le fu confiscato tutto. Nel ’42 fu inviata al lavoro forzato, quindi nel campo di Theresienstadt, dove assisteva i sofferenti e predicava che bisogna essere devoti a Dio dalle sfere terrene fino alle sfere eterne. Da Theresienstadt ad Auschwitz, dove le toccò il martirio finale. Zikronà le-berakhah.

BIBLIOGRAFIA
Katharina von Kellenbach, The Life and Thought of Rabbi Regina Jonas, in Leo Baeck Institute, Year Book 1994.
Per Abraham Geiger, Max Wiener, Abraham Geoger & Liberal Judaism, The Challenge of the XIX Century, Cincinnati, 1981

In Italia

L’ebraismo liberale, o riformato, non nasce oggi in Italia. La storia lunga e difficile dei primi pionieri è ben tracciata in questo articolo di Alberto Cavaglion presente sul nostro sito.

Il 1999

L’era contemporanea dell’ebraismo liberale italiano comincia nel 1999, in occasione della visita di una delegazione di rabbini riformati a Giovanni Paolo II. La delegazione è guidata da Rav David Goldberg, della sinagoga Lev Chadash di Londra.

E’ intorno a questa figura che molte personalità e sensibilità cominceranno a coagularsi, fino alla presentazione dell’ebraismo riformato, a cura dello stesso Rav Goldberg e di Diana Pinto, durante un ciclo di conferenze pubbliche. Pochi mesi dopo, il 24 marzo 2000, alla libreria Tikkun di Milano, si terrà un evento storico: il primo culto riformato di shabbat mai celebrato in Italia. Alla bimah c’è, ancora una volta, Rav David Goldberg, accompagnato da Cathy Heller Jones, direttrice del coro della sua sinagoga.

Nasce Lev Chadash

Quello che segue è un breve ma intenso periodo di transizione, nelle quali le varie anime dell’ebraismo non ortodosso cercano la loro strada ideale e organizzativa. L’Associazione Ebraismo Progressivo affiliata alla World Union for Progressive Judaism, nasce nel marzo 2001, separandosi da Keshet, che rimane a rappresentare l’ebraismo laico e umanistico. Nel luglio 2002 si inaugura la sede della sinagoga Lev Chadash, in via Carlo Tenca.

Le altre sinagoghe riformate in Italia

Dal 2001 è attiva a Firenze Shir Chadash la seconda sinagoga riformata in Italia. Sempre a milano, dal 2002, nasce Beth Shalom . Tutte e tre sono affiliate alla World Union for Progressive Judaism. Altri gruppi ebraici riformati sono attivi a Roma, Torino e Padova.

Nel mondo

Dal sito della World Union for progressive Judaism:
La world Union for Progressive Judaism a cui Lev Chadash aderisce è stata fondata a Londra nel 1926 ed è la più grande tra le associazioni di ebrei religiosi nel mondo. Il suo scopo fondamentale è anzitutto creare un terreno comune tra gli aderenti e in secondo luogo promuovere l’ebraismo liberale in luoghi dove individui e gruppi cercano vie autentiche ma moderne di esprimere sé stessi come ebrei.

La World Union for Progressive Judaism serve congregazioni e comunità in quasi 40 paesi e comprende più di 1.200 congregazioni progressive, liberali, reform e ricostruzioniste, per un totale di oltre un milione e mezzo di membri in tutto il mondo. Il suo quartier generale internazionale è a Gerusalemme, con uffici regionali a Londra, Mosca e New York.

L’ebraismo liberale è radicato nella Bibbia, specialmente negli insegnamenti dei profeti ebraici. E’ fondato su autentiche manifestazione di creatività ebraica, antica e moderna, particolarmente su quelle che mettono in evidenza spiritualità e desiderio di apprendere ciò che Dio si aspetta da noi: giustizia, equità, democrazia e pace, realizzazione personale e obblighi collettivi.

La pratica dell’ebraismo liberale è ancorata al pensiero e alla tradizione ebraica. Cerca di estendere la gamma dell’osservanza, per esempio garantendo piena uguaglianza a tutti gli ebrei, senza limitazione di sesso o orientamento sessuale; nello stesso tempo riconsiderando leggi che sono contrarie ai principi fondamentali dell’ebraismo.

Dei dodici milioni di ebrei che vivono oggi nel mondo, circa un terzo vive in paesi dove la vita ebraica è debole e ci sono poco opportunità per una significativa pratica ebraica. L’obiettivo della World Union è assicurare che tutti gli ebrei abbiano accesso ad una coinvolgente vita ebraica che possa ispirarli spiritualmente e tenere le loro comunità unite. Siamo impegnati in questo compito sacro.

Dichiarazione di principi:
La missione della World Union for Progressive Judaism è preservare la pienezza ebraica dovunque vivano ebrei, incoraggiare l’integrazione senza assimilazione; rispondere alla modernità perpetuando l’esperienza ebraica, perseguire la giustizia sociale e l’uguaglianza di diritti per tutti.

Adempiamo la nostra missione attraverso:

Cosa pensiamo

presentazione Lev Chadash
DA DIECI ANNI IN ITALIA VIVE UNA COMUNITA’ EBRAICA PROGRESSIVA: LEV CHADASH

CHI SIAMO

Lev Chadash è una comunità ebraica che fa parte della World Union for Progressive Judaism, la più grande organizzazione religiosa ebraica nel mondo, che conta più di un milione e mezzo di iscritti alle comunità federate. Essa si colloca dunque nell’ampio mondo dell’Ebraismo modernista, che nelle sue diverse anime è diffuso in tutto il mondo, è in forte crescita in Europa e da un decennio circa è organizzato anche in Italia. Lev Chadash è la prima e la più vasta delle comunità progressive nel nostro paese. Lev Chadash lavora per la promozione dell’ebraismo, dello studio e della pratica delle mitzvòt in uno spirito di apertura e di modernità.

IL PLURALISMO

Lev Chadash è prima di tutto una porta accogliente, calorosa ed aperta verso l’ebraismo, attenta a rispettare ed apprezzare ogni ebreo nella sua diversità ed ogni persona nella sua specificità. Nell’ambito comunitario pubblico Lev Chadash promuove al massimo l’osservanza religiosa rigorosa, mantenendo però un profondo rispetto per le scelte individuali dei suoi frequentatori, che sono accolti per la loro sincerità ed attaccamento all’ebraismo: « (solo) Hashem conosce i pensieri dell’uomo, perché essi sono vapore » (Salmi 94,11). Lev Chadash evita dunque di giudicare le persone secondo il loro grado di pratica, le loro opinioni o le loro origini, incoraggiando tutti ad approfondire la loro vita ebraica. Le persone hanno vissuti diversi ed esigenze diverse durante il loro cammino, ed ogni ebreo ha un percorso personale specifico che noi onoriamo. Fra i nostri frequentatori vi sono famiglie con bambini, coppie, singles, iscritti alle comunità ebraiche con antiche tradizioni familiari ebraiche ed ebrei convertiti recentemente; alcuni osservano scrupolosamente lo Shabbat o la kasherut, mentre altri lo fanno assai meno, come del resto fa la grande maggioranza degli ebrei “laici” italiani che appartengono alle comunità tradizionali. Siamo fieri che una diversità così ricca di esperienze possa trovare a Lev Chadash un luogo dove confrontarsi e condividere un’esperienza religiosa ebraica positiva e motivante. In un ambiente solidale, animato da vera « simchà shel mitzvà », gioia della mitzvà, con la guida ed i consigli di un rabbino, essi posssono, ognuno secondo i suoi ritmi ed esigenze, compiere un cammino che li porti a vivere in modo più consapevole il loro Ebraismo sul piano rituale e morale.

UN’ADESIONE DINAMICA ALLA TRADIZIONE

In quanto comunità religiosa ebraica Lev Chadash è votata al rispetto della halachà, la normativa ebraica. L’ebraismo non è però mai stato un sistema chiuso. Le autorità rabbiniche hanno sempre tenuto conto delle realtà storiche e sociali senza che questo implicasse affatto un tradimento dei valori della Torà, parola della rivelazione divina che, interpretata dal popolo ebraico attraverso il suo vissuto storico, è la base della vita ebraica. Il Talmud ed i codici successivi definiscono il percorso spirituale dell’ebreo attraverso un linguaggio normativo il quale ha subìto modifiche ed adattamenti, resi necessari dall’esigenza di proteggere lo spirito della Torà nei diversi contesti. La Torà insegna infatti esplicitamente « Ed andrai … presso il giudice che vi sarà in quei giorni e chiederai … » (Deuteronomio 17, 9). E il Talmud aggiunge « Ogni generazione ha i suoi saggi ed i suoi capi » (Talmud Bavli Avodà Zarà 5a), e ancora «Yftàch nella sua generazione fu (grande) come Shmuél nella sua. Affinché tu comprenda che, anche qualora sia il più debole fra i deboli, colui che è nominato responsabile comunitario dev’esser considerato come il più grande fra i grandi » (Talmud Bavli Rosh ha Shana 25b). Le nostre autorità rabbiniche si basano sulle fonti classiche, ma le leggono con la volontà di proporre un ebraismo capace di confrontarsi con le sfide del mondo moderno e capace di motivare gli ebrei di oggi a vivere la Torà con amore.

LO STUDIO

Lo studio è la base di una vita ebraica vissuta pienamente, il Talmud (Bavli Shabbat127a) ci insegna che esso vale quanto tutte le altre mitzvot, alla cui osservanza dovrebbe condurre. Questo però in nessun caso deve sostituirsi all’integrità e all’onestà intellettuali, che la tradizione stessa ci impone. Ecco perché incoraggiamo la libertà di opinione e l’uso di metodi moderni, scientifici e critici nello studio delle fonti. Presso la nostra Comunità i momenti di approfondimento sono molti e variegati: lezioni di Talmud, di Mishnà, di halachà, lunghi approfondimenti sulle Parashot settimanali, lezioni di lingua ebraica, laboratori di canto liturgico e molto altro.

LE DONNE

Il ruolo delle donne nell’ebraismo ha subìto numerose modifiche durante la storia. La halachà tradizionale, troppo spesso non seguita su questo punto, fin dall’antichità permette alle donne di salire alla Torà (Talmud Bavli Meghillà 23a), e, per esempio, di indossare tallit (Talmud Bavli Menachot 43a) e tefillin (Cf. 4 Talmud Bavli Eruvin 96a-96b). Anche se di fatto oggi sono poche le donne ad osservare queste mitzvot, è importante comprendere che l’avvenire stesso dell’ebraismo dipende dalla loro maggiore implicazione nella vita religiosa. Ciò è stato recepito d’altronde, oltre che dal mondo ebraico progressivo e conservative, anche all’interno della cosiddetta « ortodossia moderna », la quale permette sempre più alle donne di condurre le preghiere pubbliche e di leggere la Torà, ed ha recentemente aperto la strada al rabbinato femminile. Noi confidiamo, rispettando la parità dei generi, di seguire una strada che non produce divisione, ma potrà essere riconosciuta da tutto l’ebraismo.

IL RITO

Dal punto di vista del rito seguito nelle preghiere pubbliche, Lev Chadash osserva generalmente il rito italiano, come attesta il suo siddur, ma riconoscendo la pluralità e varietà dei suoi frequentatori, talvolta introduce elementi sefarditi o ashkenaziti. L’unica priorità è quella che le persone possano partecipare con gioia, integrità e kavannà (intenzione) nella preghiera, perché essa sia all’altezza di ciò che i nostri Saggi avevano in mento chiamandola « lavoro del cuore ». Sebbene non esistano reali ostacoli normativi per la recitazione di alcune parti della preghiera in lingua corrente, pure la lingua dei nostri avi, la lingua della Torà, ha per noi un valore ed una profondità impossibili da raggiungere con altri idiomi. Le nostre preghiere si tengono quindi integralmente in ebraico, ma coloro che non lo conoscono sono incoraggiati e sostenuti in un percorso di apprendimento della lingua ebraica, e nel frattempo possono seguire le traduzioni dei testi ed in alcuni casi le traslitterazioni.

L’APPARTENENZA AL POPOLO EBRAICO

Lev Chadash considera come ebrea ogni persona nata da madre ebrea o convertita all’ebraismo secondo la halachà, cioè attraverso la circoncisione (per gli uomini), un bagno rituale effettuato in un mikvé kasher e l’accettazione sincera delle mitzvòt da parte del candidato davanti ad un tribunale rabbinico. Ma esercita la più grande apertura nei confronti di tutti, ebrei e non. In considerazione dell’elevatissimo tasso di matrimoni misti, noi riteniamo che in questi casi la famiglia dovrebbe essere incoraggiata a rimanere all’interno della Comunità, per cui tutti i membri di tali famiglie sono benvenuti, ed i figli di padre ebreo sono incoraggiati a frequentare il nostro Talmud Torà. Questo darà loro la possibilità, se lo desiderano, e qualora entrambi i genitori approvino tale scelta, di effettuare il ghiur (conversione). In un’epoca che ha visto molti ebrei allontanarsi a causa della Shoà, riteniamo che sia un’importante mitzvà incoraggiare ed agevolare il ritorno all’interno del popolo ebraico dei figli di padre ebreo, in omaggio alla storia ebraica della loro famiglia. I nostri ghiurim, effettuati nel rispetto della halachà, sono sanciti da un tribunale rabbinico internazionale. Il percorso di studio dura fra uno e due anni secondo i casi, ma è portato avanti in piena franchezza ed attenzione umana per ogni individuo, senza nessun tipo di ambiguità e senza la mancanza di rispetto consistente nel lasciare le persone per anni in penose situazioni di attesa senza nessuna certezza. I nostri ghiurim sono riconosciuti in tutto il mondo Conservative e Reform, quindi da oltre due terzi dell’intero mondo ebraico, oltre che dallo Stato d’Israele, che li accetta come base per l’applicazione della Legge del Ritorno.

ISRAELE

Tutti i movimenti modernisti dell’ebraismo sottolineano l’importanza e la centralità dello Stato d’Israele, che sostengono praticamente e finanziariamente, così come assistono i nuovi immigranti nei loro sforzi di integrazione. Lev Chadash, pur non essendo legato ad alcun partito e non prendendo posizione nei dibattiti che dividono la democrazia israeliana, è quindi pienamente solidale con Israele, e vede nello Stato d’Israele la ‘primizia della fioritura della nostra libertà’, come recita la benedizione che viene recitata ad ognuno dei nostri servizi religiosi

IL NOSTRO EBRAISMO

Lev Chadash promuove un ebraismo profondamente praticante, esigente, basato sullo studio e la conoscenza; deplora quindi i fondamentalismi e condanna ogni tipo di esclusione o censura comunitaria. Lavora per un ebraismo plurale, aperto, democratico, all’ascolto degli ebrei e pronto a confrontarsi francamente, un Ebraismo di crescita, sia nel contesto individuale che sociale.

Attività e servizi

Lezioni per adulti


Si tratta di cicli di lezioni tenute dal rabbino Haim Cipriani
su vari temi.

Un ciclo è pensato per approfondire i temi fondamentali
dalla vita e della cultura ebraica. Un altro, parallelo, approfondisce
testi specifici. Quest’anno sarà dedicato allo studio del trattato
Berachot del Talmud di Babilonia, che sviluppa il tema del rapporto al
Divino, il senso e le modalità del culto ebraico in generale e della
preghiera in particolare. Le date e gli orari sono sempre annunciate
con largo anticipo negli Eventi e nella newsletter.

Inoltre da quest’anno sarà attivato un corso di lingua ebraica per adulti, a
diversi livelli.

Le persone interessate sono pregate di segnalarsi
scrivendo a : www.pleine-lune.org/calendrier-astrologie-signes-zodiaques

Bar / Bat Mitzvah


Il bar/bat Mitzvah è il passaggio alla maggiore età ebraica, l’età a partire dalla quale i ragazzi diventano adulti e sono soggetti a pieno titolo alle mitzvot.

La Torah non impone una cerimonia particolare di passaggio ma da lunghissimo tempo è uso che il ragazzo che entra nella maggiore età ebraica salga al sefer, cantilli un brano della Parashah della settimana e lo commenti. E’ un giorno di festa e un rito di passaggio che nell’ebraismo tradizionale era riservato ai ragazzi e che è stato recentemente esteso alle ragazze, ma solo in forma ridotta.

A Lev Chadash, ragazzi e ragazze godono invece di uguali diritti e uguale dignità. Tutti sono chiamati a studiare e a prepararsi al giorno della presentazione nello stesso modo, tutti salgono al sefer, per tutti è prevista la stessa cerimonia.

Se tuo figlio o tua figlia si avvicina ai dodici/tredici anni, e desideri che il suo bar/bat mitzvah avvenga in una comunità aperta, inclusiva, all’interno di un ebraismo dinamico che guarda al futuro, contattaci scrivendo a redazione@levchadash.info e saremo lieti di incontrarvi e di organizzare insieme a voi il percorso di avvicinamento a questo giorno essenziale nella vita di ogni ebreo.

preghiere per i defunti


La Torà ci insegna ad onorare, amare e rispettare i nostri cari durante tutto il tempo in cui essi ci accompagnano, ma non solo. Il fatto di continuare ad agire in loro nome anche quando essi ci hanno lasciato è considerato dai nostri Saggi come un’importante Mitzvà. “Il figlio onora il padre in vita, ma anche dopo la sua morte…Quando cita un insegnamento in suo nome, non deve dire semplicemente ‘Così diceva mio padre’, ma ‘Così diceva mio padre, mio maestro, che io possa essere un’espiazione per il suo riposo’.(Talmud di Babilonia, Kiddushìn 31b).

Nella tradizione ebraica il ricordo delle persone care scomparse viene celebrato in occasione dell’anniversario della data ebraica della loro morte. Questo avviene attraverso la recitazione di preghiere per l’elevazione della loro anima, e del Kaddìsh, un inno di santificazione del Divino. Le persone che desiderano ricordare qualcuno recitano il Kaddìsh come simbolo del loro essere eredi della spiritualità e degli insegnamenti di chi non c’è più, ed esprimono così la loro determinazione a rimanere parte del popolo ebraico, santificando il nome divino così come fecero i cari scomparsi, pregando e realizzando atti di Tzedakà in loro nome.

Anche se con il passare del tempo tutti noi impariamo ad accettare la perdita, l’anniversario del decesso costituisce un momento di riflessione e di ulteriore elaborazione, che certamente reca beneficio ai viventi, ma secondo la nostra tradizione può anche essere di aiuto all’anima degli scomparsi e alla dimensione divina stessa, che in qualche modo raggiunge una maggiore pienezza attraverso i nostri atti di santificazione e attraverso l’omaggio che prestiamo a coloro che ci hanno preceduto.

Lev Chadash vi propone di aiutarvi in questa importante Mitzvà e di condividerne con voi il suo profondo significato, calcolando per voi la data di anniversario ebraico della scomparsa di persone che desiderate ricordare, e informandovi al suo avvicinarsi. In questo modo le preghiere saranno recitate per queste persone, e voi potrete parteciparvi. Se lo desiderate scrivete all’indirizzo mail levchadash@levchadash.info o levchadash@gmail.com comunicandoci il nome e la data civile del decesso delle persone che desiderate ricordare.

Vi ricordiamo inoltre che anche il giorno di Kippur viene tenuto un ufficio in ricordo dei defunti, quest’anno Sabato 22 Settembre alle ore 18. Anche in questo caso, qualora desideriate che il nome di persone care sia ricordato, non esitate a scriverci.

Nevatim

Incontri per bambini e ragazzi dai 3 ai 11 anni presso
la sinagoga Lev Chadash

Il nome del programma è Nevatim, germogli, perché
crediamo che ogni bambino possa crescere amando ed
apprezzando le tradizioni ebraiche.
Il nostro programma offre esperienze di gioco e studio
interessanti e divertenti, perché i bambini e i
ragazzi dai tre agli undici anni capiscano il
significato dell’essere ebrei e siano fieri di questa
speciale eredità familiare. Quest’anno il gruppo sarà
diviso in due classi in modo da permettere a ragazzi
di età diverse di seguire un programma adeguato a
ciascuno

Non importa se un ragazzo è già grande e non ha mai
avuto un’educazione ebraica. Tutti sono benvenuti,
indipendentemente dalla famiglia di provenienza. Le
famiglie miste sono benvenute.
Specialmente chi considera importante che siano i
figli a decidere sulla propria religione, dovrebbe
tenere presente l’importanza di fornire ai ragazzi
elementi e conoscenze per fare scelte responsabili e
informate. Chi non ha conosciuto, non potrà
scegliere in maniera libera e consapevole.

IL PROGRAMMA DI NEVATIM PER IL NUOVO ANNO

Riprendono le attività di Nevatim, gli incontri per bambini dai tre agli undici anni.
Il programma per i prossimi mesi è il seguente:

-Venerdì 12 novembre: dalle ore 17,00 alle 19,00 costruiamo le Hanukkiot

-Sabato 4 dicembre: festa di Hanukkà (orario ancora da definire)

Il costo di ogni incontro è di 8 euro a bambino, salvo dove diversamente specificato (ad esempio per le gite).

Per informazioni contattare Eva Mangialajo Rantzer all’indirizzo mail: evamangialajo@yahoo.it Questo indirizzo email è protetto contro i robot spam, hai bisogno del Javascript abilitato, per vederlo

Talmud Torah


Il Talmud Torà è il ciclo di lezioni per i ragazzi che si preparano per il bar/bat mitzvà. Si svolge di solito la domenica mattina, due volte al mese, alle 11, nella nostra sede. Per parteciparvi bisogna che almeno un genitore sia iscritto a Lev Chadash. Per informazioni vi preghiamo di scrivere a ravcipriani@gmail.com.

Ecco il calendario Talmud Torà fino a tutto gennaio:

OTTOBRE
14 e 28
NOVEMBRE
11 e 18
DICEMBRE
2 e 16
GENNAIO
13 e 27

Articoli e documenti

Siddur

IL NOSTRO SIDDUR

Rav Cipriani sta lavorando a un nuovo Siddur per LevChadash. Per ora pubblichiamo la sezione della preghiera che si usa al venerdì sera, e l’intero siddur della giornata di Shabbat. Seguendo questo link trovate il siddur che comprende Arvit di Shabat; con questo invece il Siddur per Shachrit, Mussaf e Minchà , la Birkah Hamazon e l’Allel. Trattandosi di un testo che contiene il Nome divino, vi preghiamo di non stamparlo se non per fini di studio e di culto e di non modificarlo. Esso è comnque protetto dal copyright e non può essere commercializzato, modificato o comunque pubblicato senza il nostro consenso.

La legge ebraica richiede di non gttare, distruggere o profanare il Nome divino. Di qui l’istituzione in molte comunità di quei depositi di vecchie carte, a volte antichissime, che si chiamano Ghenizà. Se stampando il siddur vi capitasse di produrre dei fogli malriusciti o voleste buttare dei vecchi libri ebraici e non sapeste come fare per rispettare questa nostra tradizione, potete portarli in Sinagoga e affidarli a Rav Cipriani che li depositerà in una Ghenitzà.

programmi

L’attività della sinagoga nelle prossime settimane
ATTIVITA’ DELLA SINAGOGA DI MILANO
programmate per le prossime settimane

(Le attività più vicine sono aggiornate sulla prima pagina del sito)

Shabbat Shelach Lechà

Sabato 16 giugno

Ore 10 - Preghiere di Shacharit e Mussaf con la chazanit Martina Yehudit Loreggian

Ore 12.30 - Kiddush e pranzo

Ore 15 - “(Re)introduzione all’ebraismo: incontri per scoprire o riscoprire la cultura ebraica”, con Martina Yehudit Loreggian

Shabbat Kòrach

Sabato 23 giugno

Ore 10 - Preghiere di Shacharit e Mussaf con il chazan Shabbatai Petraro

Ore 12.30 - Kiddush

Shabbat Chukkàt

Sabato 30 giugno

Ore 10 - Preghiere di Shacharit e Mussaf con la chazanit Martina Yehudit Loreggian

Ore 12.30 - Kiddush e pranzo

Shabbat Balàq

Venerdì 6 luglio

Ore 19 - Kabbalat Shabbat e Arvit.

Ore 19.45 - Kiddush e cena di Shabbat.

Tutti sono invitati, e possono partecipare con pietanze dolci o salate vegetariane.

Sabato 7 luglio

IN QUESTO SHABBAT FESTEGGIAMO IL BAR MITZVA DI DAVIDE MOSCATO. MAZAL TOV ALLA FAMIGLIA! TUTTI SONO INVITATI A CONDIVIDERE QUESTO MOMENTO.

Ore 10 - Preghiere di Shacharit e Mussaf con il rabbino

Ore 10.45 - Lettura della Torà con commenti del rabbino Cipriani

Ore 12.30 - Kiddush offerto dalla famiglia Moscato. Tutti sono invitati.

Ore 14.45 - Preghiera di Minchà

Ore 15 - Lezione del rabbino Cipriani: “La preghiera ebraica”, basato sul trattato talmudico Berachot

Cimitero

E’ attiva la convenzione fra Lev Chadash e il comune di milano per la gestione di un campo al Cimitero Maggiore. Possono essere sepolti nel nostro cimitero tutti i defunti che sono riconosciuti ebrei dal nostro rabbino. In caso di necessità si prega di contattarlo al più presto ( ravcipriani@gmail.com ), scrivendo anche a levchadash@gmail.com

NOTIZIE ED EVENTI

LA LETTURA DELLA SETTIMANA
Parashat hashavua: Pinchas
14 luglio 2012 - 24 tammuz 5772
Numeri 25,10 - 30,1
Haftarah: 1Re 18,46 - 19,21
Trovate qui (PINHAS) il commento del nostro presidente emerito Bruno di Porto e qui sotto quello scelto dal nostro traduttore Roberto Hillel Tonetti
Leggi tutto…
L’attività della sinagoga nelle prossime settimane
Leggi tutto…
L’ULTIMA NEWSLETTER DELL’ EUROPEAN UNION
OF PROGRESSIVE JUDAISM…

… è raggiungibile qui

VIAGGIO IN ISRAELE
Trovate qui sotto il programma di un viaggio in Israele particolarmente completo ed economico proposto dai nostri soci Settimio Moscato e Paola Morelli, con le indicazioni per aderire.
Leggi tutto…
LA NOSTRA DOCUMENTAZIONE
I commenti delle parashot già lette quest’anno, gli interventi più vecchi che ci riguardano, le discussioni all’interno della comunità si trovano nella sezione “articoli e documenti”. Per arrivarci, cliccate qui

PERCHE’ UNA SINAGOGA PROGRESSIVA IN ITALIA?

Leggi tutto…
Ecco il nostro statuto (cliccate su ogni pagina per scaricarla:

(PAGINA 1), (PAGINA 2), (PAGINA 3), (PAGINA 4), (PAGINA 5), (PAGINA 6), (PAGINA 7), (PAGINA8), (PAGINA 9), (PAGINA 10), (PAGINA 11), (PAGINA 12), (PAGINA 13), (PAGINA 14), (PAGINA 15), (PAGINA 16), (PAGINA 17)

Shabbat Pinchas

MILANO

La sinagoga è chiusa per il periodo di sospensione estiva

ROMA

(20:26 - 21:35)

venerdì 13 luglio
ore: 20.15 accensione delle candele e accoglienza dello Shabbat;
ore: 20.30 Kabbalat Shabbat;
ore: 21.30 kiddush.

sabato 14 luglio
ore: 10.30 preghiera di Shacharit e commento della parashà della settimana
ore: 12.00 preghiera di Mussaf;
ore: 12.30 kiddush

per informazioni scrivere a: Levchadashroma@yahoo.it

PAUSA ESTIVA

Da metà luglio a fine agosto, come di consueto, l’attività della nostra sinagoga di Milano sarà ridotta, nel senso che non saranno garantiti i servizi di Shabbat e non vi saranno attività didattiche e culturali. Su quyesto sito, che continuerà ad essere aggiornato e sulla newsletter, che continuerà a uscire, daremo informazioni sulle attività. Fin d’ora anticipiamo che cercheremo di radunare un minjan per il digiuno di Tishà be Av, che quest’anno inizia alla fine di sabato 28 luglio e dura domenica 29 fin dopo il tramonto. Chi fosse disponibile a Milano per le funzioni e la lettura del libro di Echà (Lamentazioni) è pregato di farcelo sapere. L’attività della sinagoga riprenderà regolarmente, b"h, da sabato 31 agosto.

ASCOLTA, ISRAEL

Il rabbino Haim Cipriani è stato ospite di Gabriella Caramore alla trasmissione di Rai 3 “Uomini e Profeti”, sul tema delle donne nell’ebraismo. Per ascoltare la puntata CLICCATE QUI

IL NOSTRO CIMITERO

Qualche giorno fa, sotto la guida di Rav Cipriani, è stata celebrata la prima cerimonia funebre nel cimitero che il Comune di Milano ha assegnato a Lev Chadash. Si tratta di un’area del Cimitero Maggiore di Milano, il campo 89, che ci è stata concessa in uso con una convenzione del 2010 e che dopo il superamento di numerosi ostacoli burocratici è entrata in uso quest’anno. Si tratta certamente della prima “casa della vita” (Bet Haim, come si chiamano queste strutture nella tradizione ebraica) assegnata all’ebraismo non ortodosso in tutt’Italia e probabilmente in buona parte dell’Europa meridionale. Lev Chadash sente fortemente questa assegnazione come una responsabilità importante per ora e per il futuro, ritenendo che essa non sia solo un servizio per le famiglie dei suoi iscritti, ma anche di tutti gli altri ebrei che per qualche ragione decidessero di usarla, previo consenso del nostro rabbino. Con questa struttura si completa l’ambito dei servizi che la nostra sinagoga può realizzare per tutto il ciclo di una vita ebraica: dala nascita e dal brit milà, all’educazione dei giovani e al bar/bat mitzvà, al matrimonio, fino alla triste necessità della sepoltura dei defunti, che è un’importante Mitzvà a cui la tradizione ebraica ha sempre dato una grande enfasi. Ringraziamo per la concessione il Comune di Milano e i suoi funzionari, in particolare la dott.ssa Maistri e il prof. Spinelli, che si sono molto impegnati per rendere possibile il servizio e ricordiamo per l’occasione Pierpaolo Ottolenghi z"l, il cui lavoro è stato determinante.

CHIUNQUE FOSSE NELLA CONDIZIONE DI DOVER CHIEDERE DI SEPPELLIRE UN CONGIUNTO NEL NOSTRO CIMITERO, E’ PREGATO DI SCRIVERE CON URGENZA A RAV CIPRIANI ( ravcipriani@gmail.com ) E ALLA SINAGOGA ( levchadash@gmail.com )

E’ uscito il nuovo libro del nostro rabbino Haim Cipriani

Ascolta la sua voce - La donna nella legge ebraica
Giuntina editore - € 14
Lo trovate in tutte le librerie

Potete leggere qui la recensione di Elena Loewental

NON PERDETE ANCHE IL LIBRO PRECEDENTE

Commenti e riflessioni sulla Torà

Lo trovate, in diverse librerie (per esempio alla Claudiana a Milano) e lo potete potete ordinare qui

ISCRIZIONI AL TALMUD TORAH PER LE RAGAZZE E I RAGAZZI

Sono aperte le iscrizioni al Talmud Torà per i ragazzi e ragazze che desiderino celebrare il loro Bar/Bat Mitzvà. Naturalmente i figli di coppie miste e/o di padre ebreo sono i benvenuti. Tutti gli interessati sono pregati di scriverci al più presto ( ravcipriani@gmail.com ). Ricordiamo che nella nostra comunità le ragazze seguono lo stesso percorso dei ragazzi, e leggono la Torà al momento del loro Bat Mitzvà.

CIRCOLO CULTURALE RIMMON

Corsi di Lingua ebraica - Prof. Roi Giladi

Il corso annuale prevede 3 cicli di 10 lezioni ciascuno e le lezioni si svolgono la domenica mattina, con insegnante madrelingua, a partire dalle ore 9.30. CIRCOLO CULTURALE RIMMON
Sinagoga Lev Chadash, Piazza Napoli 35 - 20146 Milano, Italia
Info: www.levchadash,info - circoloculturalerimmon@gmail.com

Info e contatti: Paola Avigail Senigaglia 349 5300829
mail: circoloculturalerimmon@gmail.com
morè Roì Giladi : roi.more@yahoo.it

IL CIRCOLO CULTURALE RIMMON

Il circolo culturale Rimmon (il nome ebraico della melagrana) è la nostra nuova iniziativa che abbiamo promosso per gestire l’attività culturale, didattica e ricreativa. Al circolo Rimmon faranno capo l’anno prossimo i nostri corsi di ebraico, le conferenze, gli spettacoli organizzati nella nostra sede, il corso di cucina, il coro, le attività editoriali che ci proponiamo di aprire. Per informazione, proposte di collaborazione o contatti scrivete a circoloculturalerimmon@gmail.com

LA PRESENTAZIONE DI LEV CHADASH

Abbiamo preparato un breve documento di presentazione della nostra comunità. Leggetelo: si può scaricare qui

I NOSTRI CORSI DI TORAH:

Il corso di cultura religiosa ebraica, tenuto da rav Cipriani, per tutti coloro che sono interessati a conoscere meglio la nostra tradizione, le leggi, i costumi, il pensiero, la storia…in linea di massima i sabati alle 15 (notizie dettagliate nei programmi degli shabbat, che si raggiungono col pulsante ATTIVITA’, in alto a sinistra di questa pagina Tutti sono benvenuti!

Il corso di Talmud, che quest’anno è dedicato al trattato Moed Katandel Talmud di Babilonia. Studiarlo è un modo ricco e stimolante per approfondire la natura stessa dell’ebraismo. In media uno Shabbat su due in alternanza al corso di cultura religiosa generale (vedi dettagli nei programmi degli Shabbat). Tutti sono benvenuti!
Il corso di Talmud Torà per la preparazione al bar/bat mitzvà . Per informazioni su come iscriversi mandate una mail a ravcipriani@gmail.com

LEV CHADASH SOSTIENE TZAD KADIMA

Molti soci e amici ci chiedono come dare un contributo concreto, una Tzeddaka, un atto di Tikkun Olam. Vi suggeriamo di contribuire a Tzad Kadima, l’associazion israeliana che si occupa di bambini e ragazzi cerebrolesi. Pubblichiamo qui di seguito una presentazione del presidente Alessandro Viterbo.
“Tsad Kadima” è un associazione che si occupa di organizzare e aiutare il percorso formativo dei bambini che soffrono di lesione cerebrale in Israele, a prescindere dalla religione, dal credo o dall’appartenenza etnica.
“Tsad Kadima” vede come scopo principale l’integrazione dei bambini e ragazzi cerebrolesi nella societa’ normale e si adopera per rendere la cosa possible nonostante le gravi limitazioni fisiche delle quali soffrono .
Alcuni dei ragazzi cresciuti nei centri di “Tsad Kadima” studiano oggi all’Universita’,sono soldati all’esercito,vivono da soli in appartamenti adattati, lavorano a seconda delle proprie possibilita’.
"Tsad Kadima " aprira’ a settembre il nuovo centro di Beersheva che proprio in questi giorni viene costruito e che affianchera’ quello gia’ esistente a Riscion lezion. il nuovo centro dara’ una risposta all’esigenze del Sud di Israele e sara’ aperto a tutte le popolazioni che abitano la zona.
“Tsad Kadima” comincia quest’anno un nuovo programma indipendente di formazione di nuovi "educatori conduttivi " in collaborazione con la michlala’ Levizski .
"Tsad Kadima " consapevole del legame che si è consolidato con l’Italia conta di poter continuare a sviluppare le molte attivita’ e i futuri progetti con l’aiuto di amici vecchi e nuovi.
Sono a disposizione per qualsiasi domanda o spiegazione.

Alessandro Viterbo
Alroy 5-B GERUSALEMME
Prefisso Israele 0972 2-5667871 508801450 Fax 026540069
e.mail alexviterbo@hotmail.com